Vita, arte, mostre e libri

Liricamente
dedicato ai Grandi della musica classica

“…la pittura è la mia solitudine,
ma soprattutto la mia salvezza,
la mia libertà,
dove ancora esistono l’immaginazione,
il sogno, l’alchimia, il rito magico di un segno,
di una forma, di un colore…”
(Paolo Facchinetti)

Paolo Facchinetti vive il suo “far pittura” come attività-necessaria quotidiana, in intima simbiosi con l’evoluzione dei suoi pensieri e delle sue passioni. Un lavoro nel quale si avverte genuinità, serietà ed emozione. Dopo le precedenti esperienze astratte, la sua ultima produzione ci mostra la cosciente volontà di riappropriarsi della “figuratività” del mezzo pittorico. In questo non è necessario leggere un contrasto: se il gesto astrattizzante è vivibile come continuum si tratta solo di vedere fin dove esso viene spinto, quale volume, quale profondità può raggiungere.

Al di là dei dualismi (formale/informale, figurazione/astrazione) che caratterizzano un percorso artistico, ciò che si impone di fronte alle tele di Facchinetti, è la complessa fenomenologia di un segno pittorico nelle sue evoluzioni. Esigenze espressive diverse, in continuo feed-back con la non-logicità di un “mestiere”, quale quello dell’artista, che vacilla tra la facile collocazione e la più totale inclassificabilità. Si avverte una sensibilità che nasce dalla sincera necessità del “fare” pittorico, diretta, filiazione di un pensiero volutamente solitario. Fuori dal mito di un’arte accessibile solo agli “addetti ai lavori”.

Il sentire la propria attività carica di implicazioni etiche, rappresenta una costante all’interno del lavoro di Facchinetti. Nella genuinità del suo proporsi si sente la consapevolezza di quello che la zattera esistenziale può offrirci. Qualcosa di più e di diverso dalla categoria dell’autore drammatico, lontano, comunque, dalla facile ideologia del visionario angosciato e dal mito dell’orecchio tagliato.

La varietà dei soggetti presentati asseconda la multiforme esigenza espressiva: il medesimo segno scattante, in alcuni tratti nervoso, a delineare la mobile espressione di un volto come il ritmo di un paesaggio urbano o il profilo di un albero. La tavolozza è altrettanto varia: si passa da accostamenti cromatici aggressivi ( dei rossi o dei rosa vicini ai toni Kitsch di certe fotografie dell’arte americana anni ottanta, di vaga atmosfera pop-decadente ), ad accenti quasi impressionistici dove il colore, pur assumendotonalità pastello, non perde la sua fisicità.

Nel complesso dei “ritratti lirici”, la struttura compositiva è semplice, spoglia, spesso caratterizzata da grandi spazi vuoti, lasciando libera azione al gesto. Il soggetto è proiettato su fondali teatrali di un’essenzialità provocatoria. Esso si staglia prepotente e sicuro, facendo violenza allo spazio concesso e forzandone i limiti bidimensionali. Nello scatto del gesto si legge la velocità del pensiero. L’immagine è come “sbavata”. Registra il movimento senza comunque raggiungere una forma risolutoria.

La passione per la musica lirica e classica è complice della creazione pittorica. Nel gesto si traduce l’audacia delle armonie di una sinfonia, come pure la violenta pienezza di una voce al grado più alto della scala tonale. Il mondo della musica è visto nella sua piena vitalità e potenza spressiva. Le immagini sono mosse, vibrate di un dinamismo estremo. Nelle opere su tela, come nei disegni, la velocità del segno sorprende la forma riducendola all’essenziale. Ciò che rimane sono tracce in cui la figura viene scomposta dal movimento rapido e agile del gesto deformante. La decostruction del soggetto avviene in”presa diretta”, secondo la filosofia interna di medium quali la fotografia e il video, da tempo del tutto integrati nell’attività pittorica.

La forza comunicativa, che domina i lavori sulla figura umana, non perde freschezza ed agilità nei paesaggi, raccontati per frammenti o presi nel loro complesso. Non viene meno quella sorta di tensione visiva che è presente in tutte le opere. Le case del centro storico del paese natale si incastrano a vicenda, tra porzioni di selciato e frammenti di cielo, in un susseguirsi continuo di muri e finestre, in scorci taglienti di matrice fotografica.

La portata e l’intelligenza del linguaggio di Facchinetti sta nella sua attenzione alla sospensione tra elemento fisico ed incorporeo, tra il flusso già consegnato al passato ed uno già proteso al futuro, tra ciò che non esiste più e ciò che non esiste ancora. Il frammento pittorico registra una molteciplità di movimenti e spinte che non trovano esaurimento. Sulla superficie della tela la forma è continuamente modificabile e perfettibile, l’essere è “vivente” in quanto è “mutante”.

In quest’ultimo frammento di novecento, merita attenzione un autore come Facchinetti che commentando il suo lavoro sembra formulare un proponimento per se stesso (un invito per chi si accosta alla sua opera): “Meglio forse viaggiare a ritroso e recuperare uno sguardo lirico sulla realtà” (Paolo Facchinetti)