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Trasparenze 1-2-3

Non sempre il lavoro di un artista è specchio della sua personalità. Fruire di un’opera d’arte e conoscere chi l’ha creata possono rivelarsi due esperienze molto diverse, a volte deludenti, spiazzanti o addirittura stridenti.

Non è questo il caso di Paolo Facchinetti, dove nessuno scollamento avviene tra uomo e artista.

Nel suo studio regna un’atmosfera da horror vacui, ma le matite sono tutte ben temperate e allineate nei vari cassetti, i flaconi di pigmenti perfettamente detersi, posizionati nelle scansie e suddivisi non solo per colore ma anche per azienda di produzione, mentre la parete degli attrezzi potrebbe gareggiare con quella di una sala operatoria. Quest’ordine assoluto è rintracciabile anche nell’archivio organizzato in modo impeccabile: nella necessità di visionare una determinata opera, Facchinetti riesce a scovarla in pochi secondi tra le centinaia stipate negli scaffali o appese alle pareti.

Il nitore che aleggia nel suo studio e la cura con cui realizza e classifica i lavori sono lo specchio di un ordine mentale rigoroso, che non trascende mai in eccessi maniacali o ossessivi ma che, attraverso precisione, ordine e pulizia riesce a rappresentare le sfumature, o meglio, le proiezioni di un modo di essere dove l’armonia interiore si riflette anche nello spazio fisico abitato dal l’artista e naturalmente, nella sua opera. Nella necessità di scegliere un titolo che racchiuda il senso di questa mostra, la “trasparenza” appare da subito il filo conduttore che unisce perfettamente sia il mondo intimo dell’artista alle sue opere, sia le opere tra di loro.

Da buon metodico, Paolo Facchinetti lavora soprattutto per serie e si adopera da stachanovista finché non ha dato tutto il possibile per ogni ciclo lavorativo. Le opere qui selezionate fanno parte della serie dei Cieli, dei Lenzuoli e delle Polaroid (tutti titoli attribuiti dall’autore).

2024

Trasparenze 1 – Cieli

Le immagini della volta celeste affiorano nell’arte sin dai suoi albori come elementi imprescindibili nella descrizione della natura in associazione a valori di spiritualità e trascendenza. Per molto tempo l’umanità è stata propensa a credere in un universo immutabile ed eterno. L’etimologia del termine firmamento, dal latino firmamentum, ovvero “appoggio”, “sostegno” è infatti evocatrice di una condizione di stabilità. Il clima di pensiero dei secoli passati aveva portato all’accettazione dell’idea che l’universo fosse esistito da sempre in uno stato perennemente identico o che fosse stato creato più o meno come lo osserviamo attualmente. Appartiene al Ventesimo secolo l’idea, ora largamente condivisa, che l’universo sia in espansione o, secondo alcuni scienziati, addirittura in contrazione; uno stato quindi ben lontano dall’immutabilità. Ma se il progresso scientifico svela continuamente nuovi elementi sulle origini e sull’evoluzione dell’universo, il cielo rimane ancor oggi tra gli archetipi più misteriosi e radicati nel nostro inconscio.

Facchinetti non inventa il cielo; lo osserva, lo studia, lo analizza e lo registra nella memoria con le sue variazioni infinite per restituircelo ritagliato in porzioni e filtrato dal suo stesso sguardo. Se l’atteggiamento può essere riconducibile a quello che animava i paesaggisti ottocenteschi più innovativi, in realtà questa analogia è solo apparente. L’obiettivo di Constable, Turner, Delacroix, Boudin, Degas e degli altri che per primi isolarono porzioni di cielo rendendolo elemento autonomo della loro arte, era infatti l’esecuzione di sperimentazioni da inserire in composizioni pittoriche più complesse, nelle quali il cielo non rappresentava mai il soggetto principale bensì una parte del paesaggio, seppur importante. Lo si intuisce perfettamente dai titoli di quelle opere, come per esempio Cloud study, Sky study with rainbow, Ètude de ciel au soleil couchant e dall’attitudine a eseguirle con dimensioni medio-piccole. Per molti di questi pittori però l’intento principale era più ambizioso, seppur meno evidente. Nella loro arte si celava un approccio scientifico che considerava la pittura un campo di sperimentazione, una sorta di indagine sulle leggi della natura; dopotutto anche Goethe nella “Metamorfosi delle piante” sosteneva che la scienza fosse derivata dalla poesia.

Paolo Facchinetti, artista della contemporaneità, può invece permettersi di rappresentare dei cieli nudi e crudi, totalmente scissi dal contesto paesaggistico, senza alcun pretesto o giustificazione e con speranze più concrete di essere compreso.

Eccezion fatta per gli elementi atmosferici in continua evoluzione, i cieli di Facchinetti sono sempre vuoti di presenze in movimento. Assenza di volatili, aquiloni, mongolfiere, aerei, razzi, missili, sonde spaziali, meteoriti, stelle, pianeti, droni, fuochi artificiali, dirigibili, elicotteri, astronavi, paracadutisti e quant’altro oggi possiamo osservare alzando lo sguardo. Mancano anche le seducenti scie lasciate dai fumi di scarico degli aerei. Considerando la gran quantità di esseri viventi e di oggetti che attualmente popolano i cieli, sembra che nella sua razionale selezione Facchinetti vada proprio a cercare quei precisi ritagli, quei pochi metri quadrati dove nulla è presente se non la magia degli eventi naturali, dalle tempeste alle aurore boreali.

Paolo Facchinetti guarda al cielo in modo romantico ma allo stesso tempo disincantato. L’artista è consapevole che oggi ci si trovi in un momento nel quale lo spazio sta diventando sempre più importante e strategico. Dall’epoca in cui il cosmonauta sovietico Yuri Gagarin conquistò il primato di essere il primo uomo ad aver violato lo spazio infinito sopra di noi, non sono solo le super potenze ad investire enormi risorse nel tentativo di colonizzare un ambiente che ci è sempre meno sconosciuto. Negli ultimi anni abbiamo infatti assistito ai successi di diversi soggetti privati che si sono lanciati alla conquista dell’etere, si vedano le esperienze di Jeff Bezos come pure di Elon Musk, con la sua società SpaceX. Sono ormai numerose le imprese che si pongono al confine tra turismo spaziale, che promette grandi divertimenti e magnifiche vedute della Terra e operazioni indirizzate al salvataggio del nostro fragile pianeta, o pseudo tali. Nella conferenza stampa a seguito del viaggio della navicella targata Blue Origin, il patron di Amazon ha infatti affermato: «Prepareremo la strada per lo spazio perché i nostri figli e nipoti possano costruire il futuro: ne abbiamo bisogno per risolvere i problemi qui sulla Terra. Non si tratta di scappare: questo è l’unico pianeta buono che abbiamo nel Sistema solare, dobbiamo prendercene cura e quando vediamo la sua fragilità dallo spazio lo vogliamo fare ancora di più. Ci vorranno decenni, ma le grandi cose nascono piccole».

Se un tempo viaggiare nello spazio era un’avventura da intraprendere più per curiosità che per effettiva necessità ora, nell’epoca del surriscaldamento globale e degli stravolgimenti climatici, si fa sempre più strada la teoria che la sopravvivenza della specie umana possa essere strettamente correlata alla nostra capacità di adattamento nell’abitare spazi extra-terrestri. Negli ultimi sessant’anni l’uomo ha esplorato i cieli in missioni di breve durata (oggi l’India è la quarta potenza sulla luna) e la nostra conoscenza dell’universo si è notevolmente ampliata. Complici le nuove tecnologie e l’urgenza di trovare nuovi habitat da colonizzare, la possibilità di stabilire una presenza a lungo termine, se non addirittura permanente dell’uomo nello spazio, è un concetto molto più realistico da immaginare. Gli studi per la progettazione di capsule protette e completamente chiuse, che riproducono i cicli alla base della vita come noi oggi la conosciamo, sono già in corso.

Facchinetti dichiara di osservare quotidianamente il cielo, durante le lunghe passeggiate, nei viaggi in auto, in montagna, dalle finestre di casa. Dal punto di vista pittorico, questo interesse nasce dal fascino esercitato sull’artista dalle luci serotine, dalle nubi che si generano continuamente in forme sempre diverse senza mai replicarsi, dalle leggi naturali che regolano l’universo e impongono l’irripetibilità anche nei viventi. Come pittore Facchinetti è soprattutto ammaliato dagli effetti cromatici e dalla varietà delle sfumature che quotidianamente pervadono il cielo; il fenomeno dinamico del colore non interessa solo gli artisti, ma chiunque; è un tratto tipico e fondamentale del nostro ambiente naturale. Se il cielo improvvisamente diventasse incolore ci troveremmo tutti sottoposti a deprivazione sensoriale con conseguenti problemi emotivi e psicologici.

Per realizzare i suoi cieli l’artista non usa la tecnica tradizionale della pittura a pennello, bensì un metodo sviluppato individualmente negli ultimi anni. È proprio il XX secolo a dare un’enorme accelerazione all’evoluzione tecnica in pittura. Dopo che i maestri fiamminghi avevano cominciato a sperimentare quelle velature che Antonello da Messina contribuì a perfezionare introducendo a Venezia la pittura ad olio durante il suo soggiorno intorno al 1476, la tecnica pittorica era rimasta più o meno stabile.

Dieci anni fa, nei suoi primi cieli, Facchinetti era partito con una modalità manuale che consisteva in una sequenza di numerosi passaggi di colore. Per cominciare era necessario preparare un certo numero di barattoli di vetro contenenti una miscela ottenuta mescolando colore ad olio, diluente ed essiccante. Il composto liquido veniva poi letteralmente soffiato a pieni polmoni sulla tela attraverso una cannula di metallo ricurva ad angolo retto. Per realizzare le numerose velature che servono a conferire spessore e consistenza, questo faticoso passaggio doveva essere ripetuto a lungo e innumerevoli volte, con grande dispendio di energie. Un lavoro molto lento, pericoloso per la salute e che quindi lo limitava nelle dimensioni delle opere. Proprio un inconveniente legato allo sforzo che tale procedimento richiedeva, lo ha spinto a ricercare nuove soluzioni in grado di soddisfare allo stesso modo la sua vena creativa.

Utilizzando una macchina proveniente dal settore dell’automotive, personalmente modificata e adattata alle proprie esigenze, anche con l’ausilio di strumenti estranei al campo artistico quali avvitatori e piccoli elettrodomestici, Facchinetti è oggi in grado di nebulizzare la miscela, applicarla e portarla all’asciugatura con uno sforzo fisico decisamente meno intenso ma altrettanto efficace. Possiamo in questo caso ben dire che ogni mezzo è lecito per raggiungere l’obiettivo.

Durante le prime prove il liquido, spinto dalla forza di gravità, colava irrimediabilmente sulla tela che doveva essere mantenuta in verticale per ottenere gli effetti desiderati, ma la pazienza, unita alla tenacia, hanno infine permesso all’artista di arrivare alla completa padronanza del mezzo. Oggi Facchinetti è addirittura in grado di anticipare gli “eventi dannosi” e, grazie all’esperienza maturata, controllare al meglio le imprevedibilità. Tramite una complicata alternanza di sovrapposizioni, eseguite sia con il metodo “primitivo” (a fiato) che con quello “meccanizzato”, riesce ad ottenere tutte le trasparenze desiderate. Ognuno dei cieli di Facchinetti ha un colore dominante, screziato da almeno altri cinque o sei colori. Queste diverse tinte, toni e sfumature si riescono a percepire solo soffermandosi con una certa attenzione sull’epidermide del dipinto. L’artista raggiunge così la massima valorizzazione del grado di luminosità del colore e della sua variante timbrica per favorire un’immersione totale dello spettatore, paragonabile a una seduta di cromoterapia; il tutto utilizzando un numero di colori estremamente alto che arriva a circa cento gradazioni, tra cui diversi tipi di bianco e di nero.

Ogni volta che Facchinetti si attiva per iniziare una nuova serie di cieli le idee devono essere subito molto chiare, sia che prepari dei bozzetti o lavori direttamente sulla tela partendo da suggestioni della memoria. Gli effetti desiderati di morbidezza, sofficità, equilibrio non sempre si producono all’istante, normalmente sono necessari più tentativi, che spesso richiedono la completa rinettatura della tela per ricominciare il processo da capo. Durante le varie sessioni, la necessità di raccoglimento e concentrazione gli impone intervalli di silenzio assoluto nei quali anche la musica può diventare elemento disturbante. Il processo artistico resta in ogni caso molto lungo, anche al netto della “vestizione” personale e della preparazione dello studio, che ogni volta, come un rituale, deve essere totalmente ricoperto di protezioni per pareti ed oggetti.

L’ausilio della tecnologia nulla toglie alla bellezza del gesto fisico, che rimane l’ultimo breve passaggio di finitura: come un esperto mastro vetraio, l’artista continua infatti a soffiare nella cannula per completare il gesto creativo, dando così forma a quella meravigliosa cupola di trasparenze colorate che da sempre ci sovrasta.

2024

Trasparenze 2 – Lenzuoli

L’idea di questo ciclo di lavori nasce da una contingenza concreta. Impossibilitato a recarsi in studio durante la pandemia, Paolo Facchinetti si trova quotidianamente a misurarsi con la costrizione di un ambiente domestico spazialmente limitato e l’estrema libertà che l’espressione artistica necessariamente richiede.

Questa serie costituisce un esempio dei diversi esperimenti che vedono coinvolto l’artista nella personale ricerca di una risposta alla situazione di costrizione fisica a cui è costretto nel periodo di lockdown. Ogni mattina, appena sveglio, Facchinetti fotografava con l’iPhone il proprio letto ancora sfatto, procedendo poi, seguendo quello che diventa col tempo un rito quotidiano, ad un’attenta selezione dei risultati ottenuti.

Dagli scatti prescelti, l’artista traeva poi, in maniera minuziosa e paziente, un numero infinito di disegni a matita, in chiaroscuro, tramite i quali riusciva a far emergere le pieghe, sempre diverse, assunte di volta in volta dalle lenzuola e dal relativo tessuto stropicciato.

Un semplice esercizio manuale, accademico si potrebbe dire, che alla lunga diventa indagine meticolosa e certosina, folle per certi aspetti, ma eseguita proprio per non impazzire e superare gli interminabili momenti di costrizione domiciliare che ci sono stati imposti e senza i quali, molto probabilmente, questo lavoro non avrebbe visto la luce.

I disegni, le forme che, mattina dopo mattina, emergevano dalle lenzuola sono diventate la testimonianza dell’agitazione di quelle notti, molte delle quali insonni, conseguenza di uno stato d’animo colmo d’angoscia per il susseguirsi di notizie sempre più tragiche di morte e dolore.

Nella primavera del 2021, l’idea di un progetto sul Covid, sviluppata con altri colleghi, lo ha convinto a riportare sopra autentici lenzuoli quei disegni che fino a quel momento erano rimasti solo su carta, ingrandendoli. I lenzuoli vennero donati da un’azienda di forniture ospedaliere a venti artisti che li manipolarono, ognuno secondo il proprio stile. L’idea si tramutò in una commovente esposizione collettiva, tenutasi proprio nel luogo in cui la pandemia aveva prodotto gli effetti più devastanti, il paese di Nembro, dove Facchinetti, da sempre, vive e lavora.

Il risultato, peraltro senza alcuna premeditazione da parte di Facchinetti, si concretizza in un gioco di trompe l’oeil anomalo o, per meglio dire, potenziato. In questo inganno ottico infatti le pieghe disegnate dall’artista si confondono con le autentiche pieghe del tessuto. Dove quindi termina la realtà e dove inizia invece la finzione illusoria della pittura? Facchinetti non ambisce all’effetto sorpresa ma, grazie alla propria sensibilità per i materiali unita ad una tecnica maturata nel tempo, lo trova, senza nemmeno cercarlo.

L’esito finale dei Lenzuoli è una sorta di straniamento che si produce nello sguardo di chi osserva, anche grazie alla trasparenza dei materiali utilizzati. La polvere di grafite e il colore ad olio impiegati da Facchinetti non sono coprenti e opachi, al contrario la loro leggerezza lascia visibili le increspature del sottostante tessuto di cotone, a loro volta modellate dai lampi di luce che la fine tramatura del lo stesso lascia trasparire.

Ma l’inganno ottico del trompe l’oeil è ancor più profondo. Avvicinandoci gradualmente a questi teleri dipinti, ci accorgiamo infatti che i segni tracciati da Facchinetti restituiscono un aspetto simile a quello dell’epidermide umana vista attraverso lo zoom di una macchina fotografica. Ancora una volta, come già si è osservato nei Cieli, Facchinetti isola delle porzioni per restituircele sotto una nuova luce. Rughe, grinze, difetti, escoriazioni più o meno profonde causate da passioni, malattie, violenze e chissà quali altri avvenimenti, ci mostrano lo scorrere del tempo, il tempo di una vita.

Il lenzuolo che Facchinetti usa come medium pittorico racchiude contenuti simbolici molto forti. Un lenzuolino ci ricopre al momento della nascita, dentro le lenzuola si dorme, si prega, si ama, ci si ammala e si soffre; a volte si guarisce. E, infine, in un corto lenzuolo veniamo avvolti quando lasciamo questo mondo. Il lenzuolo è un oggetto che ci accompagna per l’intera esistenza, quasi una metafora del ciclo della vita.

2024

Trasparenze 3 – Polaroid

La maggior parte del lavoro di Paolo Facchinetti è riconducibile ad esperienze autobiografiche; rispetto alle opere già descritte, la serie delle Polaroid trascina un vissuto ancor più personale. La Land Camera 250, una delle fotocamere automatiche a pellicola integrale maggiormente usate negli anni Settanta, sviluppa le foto istantaneamente, senza negativo e permette di visualizzare l’immagine pochi istanti dopo averla scattata. Non c’è Boomer che si rispetti che non ne abbia posseduta almeno una.

Facchinetti, oltre ad essere un Boomer, è anche un artista e usa la camera vintage non solo per immortalare persone o cose ma soprattutto per sperimentare nuovi processi. In queste serie impiega la tecnica fotografica come se utilizzasse la pittura. Usa pellicole vergini oppure le impressiona sovrapponendo ripetutamente immagini fisse o in movimento, arrivando anche al doppio o triplo scatto. Alcune vengono poi lavorate manualmente con graffiature e tracciati che ne segnano la superficie.

Il risultato è un numero considerevole di scatti dei quali solo pochi raggiungono la dignità artistica. «Io elimino tantissimo materiale» mi dice Facchinetti nel rispetto di una logica ultra selettiva che lo spinge ad essere spietato con se stesso e a scartare tutto ciò che non ritiene valido e opportuno conservare. Ma quando qualcosa lo convince veramente arriva a riacquistarlo, anche dopo quarant’anni, nel momento in cui lo ritrova sul mercato.

Per questa mostra abbiamo selezionato tre serie di Polaroid che costituiscono attimi di narrazioni, piccole e brevi storie che durano il tempo di un istante. Sono immagini che si insinuano nel racconto della sua vita, del suo ambiente, del suo lavoro, dei suoi amici e familiari.

Matteo & Paolo, 2014

La serie qui presentata, la prima delle tre in ordine cronologico, è convenzionalmente intitolata Matteo & Paolo ed è stata eseguita con la tecnica del doppio scatto. Nasce da una sorta di “errore” tecnico cercato ed emerso in fase di sperimentazione. L’uso “scorretto” della macchina fotografica non è mai da condannare, la filosofia personale di Facchinetti impone infatti di prendere gli incidenti come opportunità. Dopo il primo scatto l’artista non rimuove la pellicola, la conserva all’interno della macchina in modo che al secondo scatto essa si impressioni nuovamente creando quegli effetti di trasparenza che, come si è visto, sono una costante di tutto il suo lavoro, un vero leitmotiv.

In questa serie Facchinetti si inserisce come “figurante” insieme a Matteo, il suo fidato collaboratore di un tempo. Sono immagini inedite scattate nel 2014 in un momento di divertissement, uno dei tanti nei quali l’artista sperimentatore diventa istrione, ironizza su se stesso, si prende in giro e momentaneamente abbandona l’aplomb che normalmente lo accompagna.

Se nel privato Facchinetti è espansivo ed estroverso, in pubblico diventa un maestro di riservatezza e ritrosia. Piuttosto taciturno, quando parla centellina le parole con l’atteggiamento spontaneo di chi evita di catalizzare l’attenzione su di sé e parimenti di interferire nella vita degli altri. Questa sua indole, abbinata al fisico asciutto e al volto arricchito da una lunga barba argentea, gli dona l’allure di un serioso monaco eremita del quale quasi si potrebbe perfino aver soggezione.

La serie in oggetto è anche un omaggio all’amicizia, quella che dura oltre le vicissitudini del tempo, oltre gli eventi della vita che spesso, come nel caso di Paolo e Matteo, portano a separarci da persone con cui abbiamo condiviso tante significative esperienze.

Polaroid lavorate, 2014

La seconda serie è costituita da Polaroid manipolate in fase di asciugatura, attraverso la rimozione di parte della gelatina che le ricopre oppure raschiandole una volta asciutte. L’effetto vintage riporta agli anni Sessanta e Settanta, quando la visione dei programmi televisivi era continuamente disturbata da interferenze di trasmissione.

Per l’effetto casuale prodotto da queste lavorazioni, risultano qui meno evidenti la perfezione tecnica e la cura che distinguono da sempre i lavori di Facchinetti. La graffiatura amplifica l’impressione di movimento e l’automobile sembra correre più veloce davanti all’edificio giallo e rosso; la manipolazione crea inoltre una sensazione destabilizzante in rapporto agli oggetti sparsi alla rinfusa sul tavolo, elementi che ci appaiono tormentati da un effetto di pioggia surreale, mentre il teschio risulta ancor più inquietante di quanto lo sia in realtà.

Oltre agli oggetti, nella dimensione ridotta di una Polaroid l’artista inserisce anche le persone. Isolando i particolari dei volti di celebri figure per le quali ha grande ammirazione, come lo scultore Alberto Giacometti o l’attivista Martin Luther King, Facchinetti riesce a conferire loro la potenza evocativa che il semplice ritratto non avrebbe. Di nuovo, la scelta dell’artista di ritagliare porzioni e delimitare i perimetri dei soggetti selezionati intensifica la percezione che abbiamo di essi. Sono immagini rivelatrici del tempo che scorre e, nella consapevolezza che nulla ritorna, lasciano affiorare lievi pensieri nostalgici.

Doppio scatto su soggetti diversi, 2014

La facciata di una palazzina come tante a Nembro, cieli percorsi dai riflessi di una tapparella, interni di abitazioni un po’ fané e complementi d’arredo sono i soggetti di questi scatti. Potrebbero risultare banali se non fossero filtrati dall’occhio dell’artista che, con una sorta di trucco scenico, riesce a renderli poetici.

Due immagini mi sembrano più potenti rispetto alle altre. La prima è una sovrapposizione di diversi ambienti di un appartamento dove emerge un tavolo apparecchiato per quattro. Non si tratta di una grande riunione di famiglia ma di un momento intimo, condiviso tra l’artista, sua moglie Angela, la figlia Anna con il marito, dei quali si vedono i volti sorridenti in trasparenza, come fossero spiriti birichini.

La seconda è invece un omaggio postumo al padre. Attraverso la tecnica del doppio scatto Facchinetti sovrappone a un ritratto del genitore dipinto ad olio diversi anni fa l’immagine di una sua opera astratta recente, di quelle in cui si vede la pennellata spessa e si percepiscono il gesto e l’azione della mano che muove il pennello in verticale e in orizzontale. Qui Facchinetti sembra voler inserire fisicamente il padre dentro la sua pittura per potergliela mostrare, far conoscere, apprezzare. Anche in questo caso, l’artista giunge al risultato desiderato senza nemmeno cercarlo. Chi è dotato di sensibilità e di esperienza non ha bisogno di sforzarsi nel rincorrere soluzioni che possano concretizzare i suoi pensieri, semplicemente si imbatte in esse, gli arrivano addosso magicamente.

Se le Polaroid della serie Matteo & Paolo parlano di amicizie che restano nel tempo, quest’ultima serie si concentra sulle relazioni familiari e sui luoghi in cui le relazioni si costruiscono. In queste immagini Paolo Facchinetti sembra disporre di un telecomando con cui fare zapping avanti e indietro, una sorta di macchina del tempo che con entusiasmo lo porta a suo piacimento nel passato, nel presente e in un futuro ancora tutto da immaginare.

2024