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Troppo spesso la frenesia della vita ci spinge ad osservare gli altri da lontano, illudendoci che uno sguardo sommario e superficiale possa bastare per comprendere l’altro, per avere quanto meno un’idea generale di chi ci circonda, lasciandoci intravedere una qualche possibilità di relazione.
In realtà la conoscenza reciproca non può che nascere dalla sensibilità di cogliere le sfumature e di indagare i dettagli.
La ricerca artistica di Paolo Facchinetti si muove da sempre in questa direzione, i volti ritratti sono quelli di un gruppo familiare allargato in cui è possibile uno sguardo ravvicinato, che si concede il giusto tempo d’osservazione e di sedimentazione nella memoria, che si confronta con la disponibilità dell’altro ad essere osservato, compreso, biasimato, rimproverato, amato.
Nei disegni i tratti del volto si sfaldano, le forme si dilatano e si deformano, sembrano quasi fluttuare nell’attesa di assumere un nuovo aspetto, perché la dimensione della relazione modifica la percezione dell’altro, fino a farlo diventare una parte di noi: i segni neri tracciati dall’artista sono testimonianza di una conoscenza profonda, interventi meditati che evidenziano alcune parti del viso facendole diventare il fulcro attorno a cui costruire il ritratto.
La pittura è il mezzo per portare alla luce quei dettagli che rendono ogni volto un “miracolo” e diventa metafora di un processo interiore che ciascuno di noi esperisce nella quotidianità: ai nostri occhi alcune caratteristiche, pregi o difetti di chi ci sta vicino, diventano chiave di un rapporto, segni riconoscibili che solo il tempo e la condivisione portano alla luce. Il fascino del dettaglio sta però anche nella sua mutevolezza: per questo la conoscenza dell’altro non si può mai dire conclusa.
I ritratti colgono solo un attimo dell’esistenza, un’età della vita: gli occhi dei giovani sono spalancati, a tratti quasi sfacciati, comunicano sicurezza, gioia di vivere ed energia vitale.
Gli occhi di Emma, la madre, guardano in basso, socchiusi, hanno già visto tanto e ora sembrano prediligere le immagini interiori, quelle dei ricordi; nello studio di questo volto, così carico di significato, l’artista indugia sugli occhi, sulla bocca, sul naso, i segni del tempo permettono di scendere in profondità, quasi sotto la superficie cutanea, di mostrare brandelli di carne viva e di arrivare all’essenza.
Il volto di Emma, prima scomposto nei dettagli e poi ricomposto nella sua unicità, diventa per l’artista il “simbolo della vita”.
Unicità
Henri Matisse scrisse nel 1954, a proposito del ritratto: “Ho finito per scoprire che la somiglianza di un ritratto deriva dall’opposizione esistente tra un volto del modello e gli altri visi, in una parola nella sua particolare asimmetria. Ogni figura ha il suo ritmo particolare ed è questo ritmo a creare la somiglianza”.
Il volto di Annette mostra la pregnanza del concetto di asimmetria: in alcuni dei suoi ritratti le espressioni diventano quasi smorfie, il viso si contrae e si rilassa con un ritmo del tutto personale che lo rende unico e riconoscibile; i dettagli che lo compongono, i tratti somatici, le piccole rughe d’espressione non potrebbero appartenere a nessun altro volto.
L’affinità elettiva che unisce l’artista ad Annette è la spinta che dà il via a questa serie di ritratti: la curiosità di indagare un volto, la scoperta della sua unicità e l’intuizione della varietà degli stati emozionali che trasformano i tratti del viso.
Il taglio fotografico delle immagini ed il formato verticale dei quadri si adattano alla forma allungata del volto di Annette; la superficie pittorica è graffiata ed i segni incisi sembrano trasformare i ritratti in fotogrammi di una vecchia pellicola cinematografica, rovinata dal tempo ma su cui rimane impresso il ricordo della nascita di un’amicizia.
Al naturalismo nella resa del volto e delle espressioni si contrappone l’impianto decorativo dell’abito, un omaggio alla bucolica Annette, avvolta da un motivo floreale come nel suo abitat naturale; in questa dicotomia della composizione pittorica sembra poter cogliere un eco stilistico dei ritratti femminili di Gustav Klimt, in particolare della serie Giuditta, ma non è di certo la tipologia umana della femme fatale, tanto cara ai Simbolisti, ad affascinare Paolo Facchinetti, ma una donna reale, unica e “asimmetrica”.
Sara Mazzocchi, settembre 2006