Per Baudelaire l’intuizione non può giungere se non dopo un lento e metodico lavoro svolto quotidianamente; ciò significa che l’intuizione non coincidendo né con l’attesa né con l’introspezione pura viene a noi attraverso un gioco sottile di inganni e incantamenti che solo il lavoro può dare.
L’intuizione è allora quel momento decisivo nel quale il fare si tramuta in creazione, che è intesa come legame indissolubile tra forma e idea.
La parola, il gesto, la pennellata, il segno, l’orma, tutto può divenire forma, basta che la volontà ideativa dell’artista lo richieda (seguendo l’insegnamento di Duchamp).
Per Facchinetti la forma è la condizione inalienabile dell’esserci dell’uomo nel mondo in quanto soggetto e oggetto.
Il suo cammino creativo è chiaro e coerente (di una coerenza profonda al di là del facile stile) e parte da precisi riferimenti pittorici quali il Caravaggio, Velazquez, Goya e ancora Bacon, Giacometti, Sironi, per finire con Manolo Millares e Vedova; amori che evidenziano l’innato interesse dell’artista per una pittura attenta nell’osservare la realtà concreta e al contempo carica di profonde implicazioni etiche.
Ed è infatti questa realtà e in specifico la realtà dell’uomo solo, deformato dal suo stesso pensarsi e pensare il reale, che traspare dalle prime opere di Facchinetti.
Queste prime opere non parlano ancora in prima persona, sono bensì dei «ritratti» sull’uomo, eppure il dissolvimento del soggetto in favore del suo essere oggetto tra i tanti e come essi calcolabile, misurabile, quantificabile, verrà nelle opere successive a coincidere con la figura dell’artista stesso, il quale si sente usurpato della propria condizione di creatore.
Le avvisaglie di questo mutamento di indirizzo si avvertono fin dai primi lavori.
In Facchinetti infatti lo spazio scenico teatrale proprio dei protagonisti di Bacon e Giacometti (la qual cosa fa dei loro personaggi una sorta di metafora della condizione dell’uomo moderno) lascia il posto ad un taglio che oserei definire televisivo, dove la «presa diretta» diviene mezzo ideale per esprimere la condizione dell’uomo abitatore del «villaggio globale».
Appare ovvio che l’idea della «presa diretta», per trovare la sua piena e coerente esplicazione, doveva inevitabilmente coincidere con un mutamento della tecnica espressiva.
Ciò è avvenuto attraverso una serie di disegni dove il dissolvimento del soggetto, inteso come rappresentazione del corpo umano, trova il suo compimento.
Il segno del gesto, di memoria informale, diviene più libero, non più costretto da forme limitanti ed obbligate; il protagonista delle opere passa dall’ESSERE RAPPRESENTANTE all’ESSERE PRESENTATO (che è poi l’artista stesso).
In conseguenza di questi disegni vi è un mutamento radicale nel modo di operare dell’artista, il ritorno alla pittura viene a coincidere infatti con la presa di coscienza della propria fisicità e sfocia in una serie di lavori che hanno caratteri comuni quali: l’aumento della superficie pittorica, a causa di evidenti esigenze gestuali, l’abbandono del colore ad olio in favore di colori a breve essiccazione, l’uso di una tavolozza limitata ad alcuni colori dai marcati significati simbolici, l’uso di una stesura pittorica data a strati e a successive cancellature.
L’artista si serve sempre più del GESTO in quanto traccia indelebile lasciata sulla pagina della storia.
Il tempo sedimenta attimi fuggevoli che dilatano lo spazio e lo rendono immensamente profondo.
Ciò che vediamo in superficie in realtà non è altro che una pelle modellata da una struttura formatasi grazie all’esperienza.
La realtà non si esperisce mai compiutamente in un solo attimo, ha bensì bisogno di spazi e tempi sempre più grandi; da questa esigenza nascono le varie SERIE di Facchinetti.
La sua è una sorta di «indagine», personale ed artistica, che abbisogna sempre di ulteriori approfondimenti, tendenti a mettere in relazione il dato oggettivo (la notizia) con l’emozione che essa provoca.
E così nascono la serie – DIARIO DI UNA CITTÀ – BEIRUT –, dove regna sovrana l’immagine della distruzione perenne e al contempo è presente la volontà di sopravvivenza di un popolo.
E ancora la serie – SINDONE CONTEMPORANEA – dove i giornali intesi nella duplice veste di supporto e mezzo di comunicazione, vengono coperti dalla sindone, intesa come calco sociale.
E ancora la serie – IL MURO DEL PIANTO –, che, come dice lo stesso artista, gli è stata suggerita dal martellante bombardamento dei mass-media.
È proprio in quest’ultima serie che si può ravvisare il significato più profondo presente nell’opera di Facchinetti, che è poi quello, della condizione dell’uomo oggi, in bilico tra la volontà di intervenire nel sociale e la coscienza di sentirsene irrimediabilmente escluso; in questa altalenante condizione la figura dell’artista appare sicuramente emblematica.
Audelio Carrara, novembre 1988